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Voyages
di A. Anelli
(catalogo PASSIONE e INCANTO - Spazio Tadini - Milano)
[…] Un’urgenza narrativa permea questi due cicli pittorici di Michele Cannaò: “due scale filosofali” dedicate alle stazioni della Passione di Cristo e all’Odissea di Omero. Entrambe, Passione e Incanto, ruotano specularmente intorno ad un doppio trascendimento: uno dal mondo, l’altro nelle cose. Ed in entrambe la volontà di narrazione classicamente si mette in tensione con più tradizioni rappresentative: la prima è quella del sacro, così come è stato pensato in Occidente fra illustrazione e rivelazione. L’altra, mitica, favolosa e memoriale, si nutre di corporeità e di cose, di luce e fa appello allo stile ed ai sensi, ai variegati flutti della sensibilità e, nello svuotamento nella pura strumentalità ed occasionalità della ragione […]
La voce di Michele
di Giorgio Boccassi
(autore, attore e regista teatrale)
[…] La tua voce è una scultura, ogni parola è un colpo di scalpello o di martello, ma anche il segno morbido del colore, con le ombre corrusche di un temporale in arrivo.
Dalle tue pitture come dalla tua voce ci si aspetta che esca fuori qualcosa, c’è un mistero.
Se tu cantassi, se tu cacciassi un acuto da tenore non romperesti i bicchieri di cristallo. No.
Con la tua voce faresti saltare per aria le damigiane di barbera, faresti scoppiare i tubi catodici, spezzeresti i tronchi di acero, abbatteresti il ponte levatoio.
Canta pure Michele, non smettere di cantare, anche la ninna nanna, intanto non dormirei.
Ti voglio ascoltare.
Ho bisogno della tua voce.
Due righe lunghe vent'anni
di Alberto Cavicchi
(critico d’arte)
[…] Da dove Michele traesse allora la forza che metteva in quelle creature antropomorfe non so. Forse quelle “aquile non ancora guerriere” altro non erano se non la trasposizione di una tensione emotiva che veniva rapprendendosi in immagini. Di certo chi non conoscesse il senso di quella forza repressa nell'attesa di un avvenimento che accadrà (inevitabilmente accadrà) non potrebbe comprendere fino in fondo cos'è stato il lavoro successivo di Michele. Un lavoro dentro il quale si scorgono riferimenti letterari ed esperienze di quotidianità, ma che non sarebbe stato lo stesso se non l'avesse animato la rabbia e l'orgoglio di chi non sa e non pretende ma sente e prefigura.
Certo la metafisica di Savinio non è estranea ai grandi quadri del proscenio della vita, così come Picasso influenza la rilettura tauromachia del sarcastico Toro Arturo. Ma l'arte è altro dalle suggestioni intellettualistiche. E' sangue, sudore e merda. Materia organica mischiata ad emozioni, sogni e incubi. Forza e debolezza, coraggio e paura. Infine consapevolezza e incoscienza.
“Cannaò: Segni di passione e incanto”
di Bruno Corà
(dal catalogo PASSIONE E INCANTO)
Quello compiuto da Michele Cannaò è un doppio viaggio dell’immaginario compiuto con un’intenzione auto identificativa. Da una parte la partecipazione individuale a una drammaturgia di passione e morte di un Giusto tra gli uomini e le donne del suo tempo e di tutti i tempi, dall’altra l’avventura poetica non meno intessuta di dramma e di peripezie dell’uomo-ulisse prototipo di quell’identità che, attraverso infinite esperienze e un processo iniziatico, configura il corso della vita, le sue prove, i suoi problemi, i suoi esiti.
Per un binario narrativo così emblematico, Cannaò ha dovuto mettere a punto due sistemi di denotazione iconografica differenti, nonostante che il segno di cui ha fatto uso sia pressoché il medesimo. E’ stato come cantare storie di morte e d’avventura con gli stessi sostantivi, i medesimi verbi, un’analoga punteggiatura, ma ottenendo ora il pathos e la malinconia, ora l’euforia e la catarsi. E se la sequenza delle ‘stazioni’ di passione del Nazareno fanno sovente ricorso al dato macroscopico che evidenzia atti, moti d’animo, emblemi, dettagli […] gli oli su tela del ciclo Incanto appaiono ‘costruiti’ mediante un felice connubio di forme sintetiche, segni archetipali, colori evocativi di una mediterraneità e solarità che si coniuga costantemente ai miti marini e alle derive umane e sovrumane di cui la storia europea è intessuta. […]
Michele Cannaò
di Marco Dentici
(dal catalogo PASSIONE E INCANTO)
Le opere di Cannaò dialogano con chi osserva, con chi per fortuna non ha ancora smarrito il senso del confronto, dell’assenso o del dissenso. E’ ciò gli viene dal rapporto con il teatro. La sua pittura è fondamentalmente dialogica, per niente sognante e sognatrice. La sua pittura è progetto, confronto, dialettica, provocazione.
[…] ” … l’artista è una sorta di idiota che ha però il dono di scorgere ciò che gli altri non riescono a vedere”. Marco Bellocchio fa dire ad un personaggio di un suo film: tutti noi che ci pregiamo di essere artisti, dovremmo preservare questa qualifica (magari si potesse estendere tale “idiozia” al mondo intero!).
Odisseo e Cristo, simboli estremi, codici universali dell’affermazione. Entrambi visti in movimento, “fotografati” in cammino, un’istantanea dopo l’altra a documentarne forza e debolezza, coraggio indomito e gesto surreale. E, intrecciati alla variegata e tumultuosa gamma dei loro stati d’animo, i luoghi del “viaggio”. Luoghi che diventano forme, campiture cromatiche, definite da segni vibranti e insistiti, come possono esserlo i segni che delineano le bocche del mistero, il nero delle voragini e i blocchi dell’ignoto.
Le prue del legno di Odisseo non sono parti navali ma lance acuminate dell’indagine puntate oltre la curva del mondo e, talvolta, verso piccole anse promettenti quiete e riparo. A volte, sono falli eretti in cerca di carne, bompressi protési sul mare feroce, incuranti dell’urlo dei venti e delle fauci spalancate dei mostri che oscurano gli abissi di orrore guizzando a pelo d’acqua in attesa del naufrago. […]
Presenza/assenza della luna nelle incisioni di Michele Cannaò (aprile 2001)
di Gianluigi Falabrino
[...] E infatti la luna, presente o assente, è sempre ambientata in un paesaggio che ha qualche elemento realistico della Sicilia: la luna sferica su una casa, con l’effetto di cupola araba, o gli ulivi così contorti che sembrano trasformarsi in animali. Ecco che gli elementi realistici prendono un’altra strada, quella del surreale, che caratterizza così tanti dei suoi olî, e la luna si aggrappa con gli artigli all’orizzonte, o è tirata giù dal cielo da un uomo con un lungo uncino, con sorprendente e inconsapevole vicinanza ad un manifesto del futurista Sinòpico del 1928.
[...] Nei linoleum di Cannaò la notte è misteriosa ma non del tutto nemica, il linguaggio dei segni rende (romanticamente?) presente la luna, cioè la luce, anche quando sembra non esserci: “Tacitae per amica silentia lunae”... Non tutto è oscuro nella notte del nostro tempo, la speranza non ci lascia in totale solitudine.
Michele Cannaò e i compagni di strada
di Gianluigi Falabrino
Pittore di grande forza espressiva e di un talento che si distribuisce con successo fra varie tecniche e diversi soggetti, Cannaò [...] ha dimostrato “la capacità di essere superiore alle proprie ossessioni”, come ha finemente notato Angela Manganaro. E nei ritratti leggiamo “soprassalti trattenuti, l’ansia del mistero” (Rossana Bossaglia).
I ritratti, appunto. Questa nuova serie di ritratti, Cannaò li ha realizzati (parte ad olio, parte a carboncino) alla soglia dei cinquant’anni [...]. È come se l’artista ci dicesse che, quasi più che la pittura e le incisioni, ciò che ha contato molto nella sua vita sono stati i compagni di strada: il padre, che lo assiste oltre la morte, i maestri, la compagna della vita, gli amici che insegnano e imparano.
In questa mostra compaiono i numi tutelari (Eduardo, Dario Fo, Argan e altri mai conosciuti come Picasso e Van Gogh); ci sono i pittori, Pippo Spinoccia e Togo [...],
ci sono gli amici che hanno creduto in lui (per esempio, Rossana Bossaglia, civetta o strega benevola, o l’attrice Tiziana Ferranda.
Ci sono i compagni di strada che hanno condiviso con lui l’arte e l’ideologia della solidarietà, la ricerca dell’etica e della giustizia sociale [...]
La sfida
di Angela Manganaro
(dal catalogo Labirinti)
(...) La corrida, luogo di passione e di morte, di conoscenza e di iniziazione, si ritrova in tante opere di Cannaò (...). Inevitabile il confronto con la tauromachia di Goya e di Picasso verso cui l'artista tradisce un amore naturale ma da cui si distacca per la diversa valenza del toro: laddove Goya illustra, partecipe, l'opposizione toro-torero e Picasso, nel recupero di una «privata mitologia», predilige l'opposizione cavallo-toro, Cannaò ribadisce l'opposizione toro-toro, ovvero - superata la trasposizione simbolica - incentra la sua ricerca nell'opposizione dell'uomo con se stesso alla conquista di una libertà nutrita di faticosa coerenza.
[…] L'altro da sé, nelle opere di Cannaò, è un torero in cui specchiarsi per riconoscere parti mancanti al mosaico di autocoscienza che il toro faticosamente recupera. Da qui un processo di metamorfosi che va pian piano radicandosi nel toro diventato sempre più antropologicamente riconoscibile nel suo nemico, a partire dagli occhi, via via sempre più umani per andare a finire nel carattere, nelle tensioni, nei vizi. Il toro qui ha bisogno di capire il gioco da cui è fuggito (la corrida), le regole di quell'infernale labirinto, attraverso l'appropriazione dei pensieri dell'altro da sé (il torero), l'altro sacerdote del rito, il sacerdote cannibale, appunto […]
Per terra e per mare
di Angela Manganaro
(dal catalogo Passione e Incanto)
[…] Dell’Incanto della conoscenza del peregrinare, dell’errare nel doppio senso di viaggiare e di sbagliare: avventura defatigante con la quale Odisseo si misura ossessivamente, senza dare e darsi tregua. Errerà, camminerà, navigherà, sbaglierà fino a tornare, finalmente. Per poi ripartire, naturalmente. E cosa rappresenta il percorso di Cristo se non un viaggio? Errare nel buio dell’animo umano per essere vittima delle sue bugie e dei suoi tradimenti. Per conoscerne il lato oscuro, da uomo. In entrambi, il percorso è un itinerario circolare in cui partenza e meta coincidono, in mezzo c’è la catarsi del viaggio-iniziazione-supplizio come momento sublime di conoscenza.
[…] Nell’opera di Cannaò il viaggio dell’uomo-eroe (per mare) e quello dell’uomo-dio (sulla terra) sono indagati attraverso due medium diversi: la nave, o meglio una sua porzione, e meglio ancora la prua, la punta dell’inclita nave che apre il solco nell’ondeggiante sale per Ulisse; per Cristo il corpo in tutte le sue declinazioni […]
Flotta d’artisti contro il Ponte sullo Stretto
di Guido Oldani
[...] È il naviglio di Ulisse che passa e ripassa sotto gli occhi della Fata Morgana [...] I colori accesi ed univoci, della relativa tavolozza, fanno concertato contrasto con la simbologia, e forse anche con la silouette delle carene, che ci sollecitano alla normanna immaginazione.
L’astrazione delle forme è quanto basta per dare levità, senza togliere la riconoscibilità
Rischio d'incendio
di Guido Oldani
(dal catalogo PASSIONE E INCANTO)
I colori della forma, sono in tellurico movimento, poi placano, risorgono e giacciono.
Ma fino al prossimo giro di corrida, perché dei colori, non c'è mai da fidarsi completamente e, quando meno ce lo si aspetta, ripartono alla carica a testa bassa, luciferini; allora il pittore, se non è pronto ad infilare loro la camicia di forza della composizione, con sollecitudine e vigore, può anche malcapitatamente soccombere a quello che era un suo stesso gesto originario di eversiva libertà.
[...] in Cannaò, le linee si centrifugano e vanno a depositarsi sulla superficie dei perimetri, o meglio tali perimetri determinano, come se la forma e il suo peso luminoso vi sprigionassero, letteralmente uscissero di prigione, ed esistessero proprio come modo e momento di un braccio di ferro appunto, fra il reticolare della delimitazione e la sempre citata sostanza delimitata. [...]
Umano e ferino, tragedia e dramma
di Michele Passalacqua
[…] La scena drammatica è, essenzialmente, retorica della ferita che non si rimargina, luogo narcisistico dell'emorragia.
[…] Nelle complesse, multiformi esperienze dell'artista moderno, quest'intreccio di momenti drammatici (dove la bestia è solo metafora di una vitalità compressa, scissa, alterata, satanica), è necessità tragica (dove la bestia si fonde con l'uomo e il Minotauro è figura della sintesi delle forze, logica ed istinto non più separati) - quest'intreccio, appunto, è quasi sempre presente, tra vertigini nichilistiche, autodistruttive, ed urgenze vitali, energetiche.
[…] I paesaggi liquidi, metamorfici, marini e lunatici della pittura e della grafica di Cannaò, insieme al suo umanario-bestiario malinconico e furente (maschera dell'attore-toreador compresa), testimoniano di una fedeltà alla materia e alle figure della terra, di un'esigenza di avventura umana e culturale, attenta alla funzione politica dell'arte e insofferente di quel tipico clima estetizzante-mercantile che circonda gli addetti ai lavori.
[…] Dipingere, incidere, recitare, sono per lui azioni in preda alla vita, prima del loro definirsi come prodotto culturale, e in quanto vitalità allo stato puro cercano immediatamente la vitalità dell'altro, di una possibile o utopica comunità dove l'unico imperativo sia la felicità.
Cannaò non si sottrae ai rischi derivanti da ogni vitalismo (tendenza all'inflazione emozionale, sfaldamenti sul versante formale, etc.), ma certamente si sottrae ai vizi privati di ogni formalismo: ciò che conta per lui, in ultima analisi, è la festa dell'arte per vivere, non il sacrificio della vita per l'arte.